Capitolo 7 – Conoscere la persona cieca – Due condizioni da distinguere

Sommario:

e. Due condizioni da distinguere

Una tra le domande che più spesso vengono rivolte a coloro che studiano la privazione della vista è, in buona sostanza, la seguente: “E’ meglio nascere ciechi oppure perdere la vista più tardi, dopo aver conosciuto le meraviglie della realtà visiva?”.
Nella sua immediatezza questa domanda implica una sorta di graduatoria che nella realtà dei fatti non risulta necessaria e, per la verità, nemmeno opportuna.
L’inclinazione a voler decidere chi sta meglio e chi sta peggio, si organizza in noi, più che altro, a partire dall’esigenza di mettere le cose a posto, di controllare in qualche modo l’origine del male.
Naturalmente l’esigenza di classificare diviene quasi sempre un modo per semplificare il panorama delle circostanze ed ostacola non poco la possibilità di conoscere le somiglianze e le differenze in esse presenti.
La condizione di chi nasce non vedente e la condizione di chi perde la vista più tardi, esigono una chiara distinzione che, al riparo da frettolose comparazioni, ne consenta una conoscenza prolungata e approfondita.
Il momento di insorgenza del danno visivo rappresenta certamente una tra le principali variabili della condizione di cecità e pertanto non dovrebbe mai mancare tra le informazioni contenute nella diagnosi funzionale.
Il soggetto che nasce non vedente (o perde la vista nella fase neonatale) si trova costretto a costruire la propria rappresentazione del mondo mediante un patrimonio percettivo ridotto e difficile
da coordinare.
Il suo sviluppo è seriamente insidiato dal rischio di non riuscire nel difficile compito di operare una sintesi percettiva delle manifestazioni provenienti dal suo ambiente.
Soprattutto quando il suo ambiente umano e sociale non riesce a rappresentarsi e a comprendere le sue fondamentali esigenze di apprendimento primario, egli incontra il grave rischio di costruire una realtà molto caotica, composta da frammenti monosensoriali, non facili da sintetizzare nella vita immaginativa.
La qualità dei processi di apprendimento del bambino cieco nato dipende molto, pertanto, dal grado di coordinazione presente nel suo patrimonio percettivo-residuo e dal grado di socializzazione delle sue iniziali esperienze percettive.
Il bambino che nasce non vedente non può rendersi conto del suo limite sensoriale, finché non riesce a comparare, mediante un corretto esame di realtà, le sue strategie di osservazione con quelle dei coetanei vedenti.
Generalmente ciò avviene intorno al quinto o sesto anno di vita e sollecita nel bambino una brusca rielaborazione dell’immagine di sé.
Evidentemente si tratta di un momento critico molto delicato, che esige comprensione e sostegno da parte di tutte le persone adulte presenti nel suo ambiente socioaffettivo.
Non sono certamente questi i pericoli che incontra, viceversa, un bambino che perda la vista più tardi. Egli si trova, spesso improvvisamente, con un patrimonio di esperienze e di ricordi molto più vivaci e attraenti della sua nuova realtà percettiva.
Una simile condizione spinge il soggetto ad immergersi nella realtà mentale dei suoi ricordi visivi e a fuggire il confronto con la sua nuova realtà percettiva, magari in attesa di un evento che possa cancellare, in qualche modo, l’inattesa e intollerabile limitazione sensoriale.
In questi casi è necessaria una vera e propria ri-presentazione della realtà. occorre procedere con prudenza, con sensibilità e con estrema gradualità. Il bambino ha bisogno di concepire molto lentamente la sua nuova condizione sensoriale, per riavvicinarsi al mondo delle esperienze e delle relazioni umane, sulla base di un continuo e crescente recupero della sua dignità di conoscere, di conoscersi e di essere conosciuto.
In simili circostanze il rischio principale consiste nell’incapacità di conciliare i ricordi visivi con le nuove esperienze percettive, determinando così una frattura della continuità storica personale ed una analoga frattura nell’immagine di sé.
Queste dolorose lacerazioni rendono molto improbabile la conquista di un nuovo progetto di vita e la ripresa di un’esistenza protesa davvero nel futuro.
Il sentimento di perdita ed il piacere-dolore dei ricordi visivi possono prendere il sopravvento, condizionando la vita del soggetto in un processo di apprendimento ricettivo, superficiale e più o meno devitalizzato.
Come si può facilmente constatare, la differenza tra le due condizioni riguarda soprattutto ciò che potrebbe fare l’insieme degli ambienti educativi, sia nel bene che nel male.
Possiamo dire che in entrambe le condizioni, comunque, la qualità dell’ambiente socioeducativo rappresenta quasi sempre la variabile preponderante.
Giova forse precisare inoltre che il bambino cieco nato ed il bambino divenuto cieco risultano molto diversi anche nel modo in cui desiderano annullare la propria limitazione sensoriale.
Il primo fa di tutto per conoscere ciò di cui tutti parlano senza che lui possa capire davvero di che cosa si tratta.
I colori, la prospettiva, le parole più tipicamente visive costituiscono per lui una magnetica attrazione, poiché egli vuole appropriarsi, in qualsiasi modo, della realtà visiva, per superare una barriera che in misura più o meno grave gli risulta inaccettabile.
Da parte sua, il bambino divenuto cieco desidera piuttosto apparire a se stesso e agli altri come era prima, simulando una condizione di normalità.
Apparire normale per lui significa liberarsi con la fantasia da un limite con cui ha deciso di confrontarsi ma che non riesce a digerire per intero.
Siamo convinti che questa nostra distinzione delle due condizioni lascerà intatto, nell’ingenuità del senso comune, il desiderio di una graduatoria rispetto a chi sta male e a chi sta peggio.
Naturalmente questo non ci preoccupa né ci meraviglia. Viceversa ci preoccupa molto l’opportunità di mantenere, di fronte ai bambini non vedenti, una mente predisposta a conoscere più che a fantasticare.
Ci piace affermare che di fronte a chi non vede occorre mantenere gli occhi bene aperti, poiché soltanto in questo modo l’incontro psicosociale e la successiva relazione interpersonale potranno maturare una prospettiva di reciprocità e di miglioramento.