Parte II : Vivere la cecità – Racconti

Racconti di Mario Mazzeo

Un momento conviviale durante una serata con amici: Mario ride sonoramente mentre abbraccia un amico con cui accenna un passo di danza

Un momento conviviale durante una serata con amici: Mario ride sonoramente mentre abbraccia un amico con cui accenna un passo di danza

Umile fierezza
In alcune situazioni la condizione di cecità mostra il suo volto più irritante e beffardo, che francamente ce la fa sentire inaccettabile.
Un esempio concreto, che può confermare questa mia affermazione, si realizza quando ci capita di aver bisogno di una persona con la quale abbiamo litigato aspramente qualche minuto prima.
L’esigenza di utilizzare la sua funzione visiva e il desiderio di non dipendere da una persona che vorremmo in qualche modo aggredire o comunque ignorare, producono insieme un conflitto lacerante e non facile da risolvere.
Qualche anno fa un mio amico professore non vedente mi diceva che sua moglie, anche dopo una furiosa litigata coniugale, continuava ad offrire regolarmente il suo servizio visivo, svolgendo la sua funzione di assistenza a prescindere dalle vicende coniugali.
Questo suo comportamento, per così dire “compartimentato”, benché risultasse comodo nei suoi effetti pratici, indispettiva e non poco il mio amico professore, il quale avvertiva nella condotta della moglie qualcosa di artificioso che insidiava la naturalezza della sua vita di coppia.
Ritengo non sia semplice giudicare simili circostanze. Indubbiamente ricevere aiuto da una persona che mentre ci assiste continua a vivere con noi un’esperienza conflittuale, costituisce quanto meno una situazione perturbante.
Accade qualcosa di peggiore quando il servizio riguarda una funzione di accompagnamento.
In tal caso infatti occorre addirittura mantenere un contatto fisico costante con la persona che vorremmo ignorare o, in qualche modo, aggredire.
L’incongruità di una simile condizione è così forte da risultare un vero e proprio esercizio di violenza su noi stessi.
Questi esempi ci indicano con chiarezza l’importanza di raggiungere il massimo grado di indipendenza possibile, soprattutto per sentirci liberi di vivere la naturalezza delle esperienze relazionali, al di là di eccessivi condizionamenti.
Vorrei comunque introdurre un’ulteriore considerazione che potrà risultare inquietante ma che merita una seria riflessione personale.
Una richiesta d’aiuto formulata con dignità, espressa con sentimento di legittimità, manifesta la nostra coscienza del limite piuttosto che la nostra inferiorità organica.
In altre parole si tratta di un gesto di umile fierezza con il quale affermiamo un bisogno che di fatto trascende i limiti di un conflitto interpersonale.
Talvolta un simile gesto può di per sé moderare i toni eccessivi del conflitto ed avviare un processo di chiarificazione e di graduale concertazione.
Evidentemente tutto questo ci rappresenta, ancora una volta, il primato della autonomia sull’indipendenza ed il valore prioritario nella libertà di offrire alla nostra condizione il potere della consapevolezza e la forza della dignità.