Capitolo 1 – Il bambino cieco e la sua famiglia – Il bambino non vedente

Sommario:

a. Il bambino non vedente

1. E’ un bambino

Non è poi così difficile comprendere che il bambino non vedente, ben al di là della sua minorazione sensoriale, è un bambino come gli altri che vive tra desideri e paure, tra gioie e dolori, tra fantasie e realtà.
Osserviamo con attenzione l’espressività dei suoi movimenti, cerchiamo di capire le intenzioni presenti e vive nel suo comportamento, soprattutto cerchiamo un contatto con la sua sensibilità, con la sua esperienza concreta e personale. Saranno simili situazioni che ci consentiranno di comprendere che si tratta semplicemente di un bambino e che la sua vita dipenderà molto, forse troppo, da come verrà educato.

2. Il magnetismo della minorazione

Se affidiamo passivamente la nostra condotta percettiva alla forza delle nostre pulsioni immediate, sarà quasi certamente la minorazione della vista l’oggetto prevalente della nostra osservazione spontanea.
In tal caso resteremo attratti e sconcertati, osservando il bambino, dal suo comportamento oculare, dall’esitazione e dall’inadeguatezza di alcuni suoi movimenti non accompagnati dal controllo visivo.
Una simile esperienza della sua diversità ce lo farà sentire come un bambino difficile da comprendere, come una fonte di problemi e di notevole disagio.
Soprattutto ce lo farà sentire come un bambino al quale bisogna, in qualche modo, restituire un contatto con la realtà mediante l’uso dei nostri occhi e della nostra esperienza visiva.

3. Il suo modo di comunicare

Per comunicare con lui occorre intuire e comprendere il suo comportamento di attenzione uditiva, oltre al suo bisogno di contatto corporeo.
Infatti egli desidera vivere l’intimità dello scambio vocale e desidera rispecchiarsi nel corpo dell’altro, vivendo la reciprocità dell’avvicinamento e del contatto.
Il suo sorriso più radioso sarà l’evidente risposta di soddisfazione e di vivacità a queste semplici ma efficaci esperienze d comunicazione.
Bisogna dire però che simili esperienze richiedono un positivo umore di base ed una sufficiente dose di serenità. Si tratta di qualità elementari che spesso mancano agli interlocutori, sia familiari che scolastici, del bambino non vedente e questo rende certamente più difficile e problematica la ricerca di una valida comunicazione.
Le perturbazioni familiari sociali che molto spesso accompagnano la vita del bambino non vedente, aggravano la sua condizione umana più di quanto possa farlo la minorazione della vista in se stessa.

4. L’udito, il tatto e il movimento

Il bambino non vedente ha bisogno di sperimentare il mondo che lo circonda con i suoi mezzi, per innamorarsene a suo modo e costruire con la realtà una sua personale intimità interiore.
Per fare questo egli ha bisogno di essere sollecitato e guidato, per evitare che il suo mondo fantastico possa conquistare le sue abitudini e prevalere nel suo rapporto con la realtà.
Inoltre egli ha bisogno di essere aiutato e protetto, allo scopo di prevenire frustrazioni e incidenti così spiacevoli da scoraggiare la vivacità della sua sperimentazione.
La sua curiosità, il suo desiderio di esserci e di interagire si manifestano precocemente attraverso l‘ udito, il tatto e il movimento.
Occorre però riconoscere e alimentare queste sue prime manifestazioni per facilitare l’affermazione del suo diverso modo di conoscere.
Quando il bambino non vedente avrà sperimentato la validità e l’efficacia dei suoi strumenti di conoscenza diverrà presto protagonista del suo percorso di apprendimento e sarà davvero un piacere osservare la sua condotta da esploratore.

5. I primi movimenti

Ciascuno di noi ha imparato a muoversi per avvicinarsi a qualcuno o a qualcosa.
Per muoversi con entusiasmo, il bambino non vedente ha bisogno di fonti sonore attraenti e riconoscibili, tali da sollecitare il suo desiderio di avvicinamento.
Per farlo, però, egli dovrà imparare a focalizzare la fonte sonora di riferimento, a nutrire fiducia nelle sue possibilità motorie e ad organizzare, ovviamente, una adeguata competenza motoria.
Soprattutto per camminare carponi, il bambino non vedente ha bisogno di essere aiutato, guidato e protetto, poiché la sua testa si muove in avanti senza il controllo visivo e senza alcuna protezione.
Generalmente infatti questo modo di camminare non viene appreso spontaneamente dal bambino non vedente che, lasciato da solo, tenderebbe a strusciare all’indietro da seduto, porgendo all’incontro con la realtà soltanto la schiena, molto meno vulnerabile della testa.
Logicamente egli ha bisogno di una particolare protezione nel momento in cui apprende a camminare in posizione eretta, poiché questo è il momento durante il quale potrebbero accadere gli incidenti più dolorosi e frustranti.
Dopo aver acquisito una soddisfacente competenza motoria, il bambino non vedente può addirittura sorprenderci per l’entusiasmo e la vivacità con cui si muove, traendo profitto dall’insieme dei sensi a sua disposizione.
Osservarlo, mentre corre e si muove con gioiosa destrezza, ce lo fa sentire sano e libero, tanto che rischiamo di dimenticare, qualche volta, la sua minorazione sensoriale.

6. Le sue parole

Quando le parole del bambino non vedente rappresentano la sua esperienza vissuta ed ancor più quando esprimono il suo desiderio di rinnovarla, costituiscono il segnale più interessante della sua crescita umana e sociale, poiché qualificano il suo modo di vivere e di comunicare.
Viceversa accade frequentemente che il bambino cieco apprenda le parole dal contesto della comunicazione e le viva come un efficace strumento, adatto a protrarre la relazione con l’altro e a prolungare il piacere della vicinanza.
I suoi genitori vivono nelle sue parole una entusiasmante apparenza di normalità ed in genere non si preoccupano molto di comprendere il rapporto tra le sue parole e la sua esperienza vissuta.
Inoltre sono ancora molte le persone che credono di trasmettere al bambino cieco l’esperienza visiva della realtà attraverso l’uso della parola.
In questo modo il bambino organizza una mente soprattutto verbale, lontana dall’esperienza del mondo, e più che altro, concentrata sul piacere di comunicare.
L’esito di questa pericolosa tendenza sarà un’esistenza loquace e inoperosa, quasi sempre sedentaria, caratterizzata da una vita percettiva prevalentemente acustica e da una rilevante angoscia di separazione dalle figure affettive di riferimento.

7. La mimetizzazione

Un atteggiamento che oggi si presenta con inquietante frequenza, sia nella famiglia che nella scuola, è la tendenza a collocare il bambino non vedente nel gruppo dei coetanei, cercando però di mascherare la sua diversità, inducendo in lui comportamenti mimetici di apparente normalità.
Mimetizzando la sua condizione sensoriale il bambino non vedente compromette il suo processo di integrazione sociale, poiché rinuncia a divenire degno di essere conosciuto, di conoscersi e di conoscere.
La condotta mimetica rappresenta una vera e propria disconferma della minorazione visiva e scaturisce dal rifiuto, più o meno cosciente, di confrontarsi con il limite.
Ciò accade quando la mancanza della vista, viene vissuta come essenziale, vale a dire, come danno sostanziale e non compensabile.
Nella mimetizzazione avvertiamo qualcosa di tragico che pesa come un macigno sulla vita del bambino insidiando seriamente lo sviluppo della sua personalità e della sua identità.

8. Il confronto con il limite

Dobbiamo aiutare il bambino non vedente a comprendere la non essenzialità della sua alterazione sensoriale.
Quando egli avrà maturato una sufficiente fiducia nei propri strumenti di conoscenza ed avrà conquistato, mediante il gioco, un buon rapporto tra fantasia e realtà sarà già pronto a capire quello che gli manca confrontando il suo comportamento con quello dei suoi coetanei vedenti.
Infatti non è mediante i discorsi o alcune semplici parole che il bambino possa comprende la sua realtà di persona non vedente, ma solo mediante un esame di realtà, dal quale emergano le differenti condotte percettive e le differenti possibilità.
Indubbiamente una conoscenza più chiara dei propri limiti, sarà motivo di dolore per il bambino non vedente, ma sarà per lui anche motivo di ricerca, per estendere questi suoi limiti sempre più in avanti.
Dobbiamo aiutarlo a vivere la dinamicità del confronto con il limite e a coniugare il sentimento di realtà con il desiderio di rinnovamento.

9. Giocare a rendersi utile

Diversamente da quanto ci suggerisce l’ingenuità del sentimento comune il bambino non vedente ha un gran bisogno di essere utilizzato, per imparare poi a rendersi utile, apprezzando il valore della libertà e della responsabilità.
I genitori dovrebbero utilizzare il bambino non vedente come una sorta di collaboratore familiare, per tutto ciò che riguarda il lavoro domestico.
Naturalmente all’inizio sarà necessario tollerare ed accogliere l’inadeguatezza dei suoi servizi e guidare i suoi movimenti verso il miglioramento, sempre comunque in un clima di gioco distensivo.
Lavando, spolverando e riordinando, egli potrà conoscere la casa nei minimi particolari, potrà acquisire padronanza e orientamento nello spazio domestico, potrà matematizzare la realtà secondo schemi immaginativi operativi e funzionali, potrà sentirsi partecipe e attivo nella vita quotidiana della sua famiglia.
Certe volte il miglior modo di offrire qualcosa gli altri, consiste nell’affermare il significato e il valore della loro presenza, offrendo loro l’opportunità di rendersi utili ed amabili.
E’ questa forse la considerazione educativa più adatta allo sviluppo del bambino non vedente, che troppo spesso cresce immaginandosi come oggetto di ansiosa benevolenza e di indulgenza colpevole.

10. Il rapporto con i coetanei

Considerando l’abituale struttura delle famiglie, il bambino non vedente si trova spesso a vivere il secondo ed il terzo anno di vita pressoché privo di coetanei, con i quali confrontarsi, interagire e giocare.
Abbiamo già detto che il gioco, soprattutto nella sua dimensione ludico-sociale, costituisce la dimensione nella quale egli potrà esprimere e conciliare le proprie fantasie con la realtà del mondo circostante.
Per questa ragione consideriamo di estrema importanza che il bambino non vedente, a partire dal secondo anno di vita, possa giocare in un gruppo di coetanei vedenti piuttosto consistente, tale da offrire la dimensione della comunità.
Occorre pertanto avviare precocemente i bambini non vedenti nei centri prescolastici di puericultura, preoccupandoci di garantire loro un’assistenza educativa qualificata e responsabile, in grado di corrispondere validamente ai loro bisogni educativi speciali.
Una simile esperienza precoce di socialità extrafamiliare risulterà preziosa anche al fine di sostenere e facilitare il processo di separazione-individuazione del bambino non vedente dalla relazione con la madre, contribuendo efficacemente allo sviluppo della sua vita affettiva e cognitiva.