Capitolo 7 – Conoscere la persona cieca – La conoscenza dell’opera d’arte nel soggetto disabile visivo

Sommario:

c. La conoscenza dell’opera d’arte nel soggetto disabile visivo

Queste mie considerazioni vogliono essere più che altro il ragionamento di un esperto interessato e informato, ma incapace di offrire un vero e proprio contributo scientifico.
Per questo motivo cercherò di presentare le mie argomentazioni nella forma fluida del discorso, evitando nei limiti del possibile i riferimenti e le scomposizioni analitiche che renderebbero più difficile e faticoso a chi legge il significato complessivo della mia relazione.
L’esperienza del bello e lo sviluppo di un raffinato sentimento estetico sono ingredienti essenziali per consentire ad un soggetto non vedente una relazione con il mondo, con gli altri e con se stesso oltre i confini delle sue ferite narcisistiche, verso una prospettiva di conoscenza e di ricerca realistica del piacere.
Privo di esperienze estetiche e di adeguate risorse sentimentali, il soggetto non vedente può restare concluso nell’angusto vissuto dell’irreparabile lasciando che l’invidia primaria divenga la forza motrice della sua esistenza.
Soprattutto noi che abbiamo svolto per molti anni la delicata funzione di educatori, dapprima negli istituti per ciechi e successivamente nel contesto dell’integrazione scolastica, siamo convinti che la principale questione presente nella condizione di cecità sia “come aiutare il bambino non vedente o gravemente ipovedente a concepire con gratitudine l’esperienza del vivere, quale occasione favorevole per essere nel mondo, con gli altri e con se stesso”.
In una simile questione la funzione dell’opera d’arte occupa un posto di grande rilievo e merita quindi di essere considerata con estrema attenzione.
A questo proposito occorre precisare in primo luogo che l’opera d’arte dovrebbe essere considerata una presenza da vivere piuttosto che un oggetto da percepire.
Per questa ragione il contesto nel quale si realizza l’incontro tra il soggetto e l’opera d’arte costituisce una condizione preliminare di estrema importanza.
Naturalmente con la parola “contesto” intendiamo l’insieme delle circostanze sociali e ambientali che accompagnano l’incontro ed offrono implicitamente al soggetto un’immagine di sé più o meno positiva.
In questo senso possiamo dire che l’incontro con l’opera d’arte viene sensibilmente facilitato da condizioni socio-ambientali di sufficiente familiarità e di fiducia nelle possibilità del soggetto.
Da un punto di vista percettivo occorre svolgere alcune considerazioni fondamentali:
– le opere d’arte che si rivolgono ai sensi residui del soggetto non vedente non presentano, come è ovvio, alcuna difficoltà particolare e rappresentano pertanto il fondamento concreto del suo rapporto con il mondo artistico.
Mi riferisco qui alla musica e alla letteratura che certamente non possono essere considerate arti minori.
Nel caso specifico della poesia, quando le espressioni verbali alludono ad esperienze propriamente visive, non possiamo che ripresentarle al soggetto non vedente mediante analogie presenti nella sua esperienza percettiva.
Ci sono poi opere d’arte che pur avendo un linguaggio propriamente visivo, si rivolgono anche ed in modo significativo ai sensi residui del soggetto non vedente.
I problemi che sorgono in questi casi sono prevalentemente di mediazione didattica e di integrazione immaginativa.
Ad esempio, nel caso di opere scultoree e architettoniche, le opportune mediazioni linguistiche e figurative possono facilitare notevolmente nel soggetto non vedente una rappresentazione immaginativa dell’oggetto artistico.
Soprattutto quando c’è armonia multisensoriale nel linguaggio di un’opera d’arte, il soggetto non vedente può giungere felicemente ad un sua rappresentazione mentale realistica ed a gustare alcuni suoi particolari mediante l’osservazione con i sensi residui.
La scultura del cinquecento è molto più avvicinabile dai soggetti non vedenti di quanto non lo sia la scultura del ventesimo secolo.
Nel caso del cinema il linguaggio artistico presenta una grande variabilità. Ci sono film che possono essere facilmente compresi e goduti dal soggetto non vedente, nonostante la privazione del messaggio visivo.
Ce ne sono altri che presentano un linguaggio esclusivamente visivo che nella migliore delle ipotesi vengono compresi dal soggetto non vedente mediante le opportune integrazioni linguistiche, ma non goduti nella loro immediatezza espressiva.
A mio modo di vedere le opere d’arte non soltanto visive costituiscono per i soggetti non vedenti il terreno di conquista culturale più interessante e accattivante.
Nell’incontro e nel confronto con queste opere d’arte il soggetto non vedente integra e coordina meglio il proprio patrimonio percettivo, si avvicina in modo più sopportabile agli aspetti visivi del messaggio e ne comprende risvolti sempre nuovi che sollecitano e rinforzano il suo sentimento di appartenenza alla realtà dei vedenti.
Ci sono infine opere d’arte che presentano un linguaggio propriamente ed esclusivamente visivo.
In un certo senso queste possono essere considerate le opere d’arte che maggiormente sollecitano la curiosità dei soggetti non vedenti ed ovviamente in particolar modo dei soggetti non vedenti dalla nascita.
Questo accade perché tali opere d’arte si rivolgono proprio alla loro funzione mancante e rappresentano l’altro, l’aldilà da raggiungere a tutti i costi.
Si tratta evidentemente di opere d’arte che non offrono a chi non vede la possibilità di un’esperienza immediata e che possono essere raggiunte esclusivamente per vie collaterali.
La qualità della comunicazione assume in questi casi un’importanza focale, affinché il soggetto venga rispettato nelle sue effettive possibilità di esplorazione percettiva.
Attualmente disponiamo di una fioritura di mediazioni figurative tattili che presentano ai soggetti non vedenti le opere dell’arte visiva, secondo una molteplicità di criteri per quanto concerne il materiale da usare, lo spessore, la delineazione delle forme e l’organizzazione figurativa dell’insieme.
Personalmente ritengo che le migliori mediazioni figurative offerte al soggetto non vedente siano quelle che semplicemente consentono alla sua immaginazione di rappresentare il contenuto oggettivo e culturale dell’opera d’arte, senza simulare un’immediatezza esperienziale che non appartiene realisticamente alle possibilità di un disabile visivo.
Generalmente il soggetto non vedente è già contento di riempire il vuoto racchiuso da una cornice con una rappresentazione figurativa e linguistica che ne illumina la storia, il significato e la fattura.
Certamente egli avrà il desiderio e la speranza di vederlo, di entrare in contatto con il suo linguaggio specifico.
Si tratta però di un desiderio che merita elaborazioni e risposte compensative, piuttosto che soddisfazioni illusorie.
E’ nel confronto con il limite che il desiderio di vedere assume interamente la sua dignità culturale e può condurci verso scoperte scientifiche sempre nuove, capaci di offrire nuovi orizzonti alle prospettive di recupero della funzione visiva.
Viceversa, sollecitando esperienza illusorie di soddisfazione del desiderio di vedere, il confronto con il limite si offusca e lascia il posto a tentativi di riparazione poco coerenti con il sentimento della realtà.
Come si può osservare dalle precedenti considerazioni l’educazione della vita immaginativa, della condotta relazionale e delle esperienze fantastiche costituiscono il necessario corredo per una buona educazione sensoriale del soggetto non vedente.
Aiutare il bambino disabile visivo a scoprire la bellezza del mondo e della vita significa aiutarlo ad organizzare un potenziamento compensativo della sua personalità.
Tale potenziamento non può essere ridotto alla conquista di alcune abilità e conoscenze. Necessariamente esso comprende anche l’apprendimento di alcuni atteggiamenti fondamentali, come ad esempio, la disposizione a conoscere, la vivacità immaginativa e il piacere di rendersi utile.
Simili atteggiamenti possono essere appresi principalmente attraverso
attività ludico-sociali e prassognosiche.
Ne consegue, naturalmente, che queste attività dovranno essere inserite nella vita scolastica e socioriabilitativa in una misura davvero più consistente e qualificata.