Capitolo 5 – Il bambino cieco a scuola – Gli alunni con deficit visivo nella scuola della autonomia: il progetto educativo scolastico ed il suo necessario supporto riabilitativo

Sommario:

e. Gli alunni con deficit visivo nella scuola della autonomia: il progetto educativo scolastico ed il suo necessario supporto riabilitativo

Come proposizione introduttiva possiamo affermare, con la dovuta semplicità preliminare, che il processo di integrazione scolastica degli alunni con deficit nasce e si sviluppa in un contesto di riparazione.
Il termine riparazione assume in questa sede un significato esteso e complesso, tale da richiedere almeno qualche distinzione fondamentale.
In primo luogo riparazione degli errori del passato, durante il quale gli alunni con deficit erano stati esclusi dalla scuola comune e marginalizzati in ambienti scolastici speciali, dove la loro diversità assumeva le caratteristiche di una vera e propria divisa sociale, da indossare con spirito di sottomissione paziente e uniforme.
In secondo luogo riparazione di tutti quei comportamenti che indicassero in qualche modo la diversità degli alunni con deficit per sottolineare la problematicità della loro presenza.
In terzo luogo riparazione-dissolvimento del deficit stesso, mediante un contesto socio-organizzativo più adeguato che cancellasse con l’handicap anche il sentimento del limite.
In quarto luogo riparazione come recupero di funzioni scolastiche e produttive, tale da restituire all’alunno il sentimento del saper agire e dell’essere utilizzabile nel corso della sua vita sociale.
Per compiutezza possiamo inoltre affermare che il pathos della riparazione si collega naturalmente in prevalenza con il sentimento del giusto e del necessario, piuttosto che con la concezione di un possibile miglioramento da praticare per gradi successivi.
L’insieme di queste prime considerazioni può aiutarci a comprendere i motivi che hanno determinato un processo di integrazione scolastica accelerato e confuso dalla volontà un po’ frettolosa di mettere finalmente le cose a posto.
Occorre soprattutto comprendere come in un simile contesto l’alunno con deficit abbia vissuto e viva spesso tuttora la sua presenza in classe tra i compagni come l’occasione per una disputa tra insegnanti ed in qualche misura avverta se stesso come un oggetto da riparare.
Naturalmente tutto ciò limita la qualità della sua identità personale ed il volume della sua soggettività psicosociale, complicando notevolmente il suo percorso di apprendimento e di sviluppo.
La percezione sociosanitaria degli alunni con deficit ed anche la tendenza a risolvere i loro problemi negli automatismi di un tecnicismo didattico, costituiscono nel loro insieme la conseguenza più vistosa e preoccupante di una velleità di riparazione che fin troppo facilmente e frequentemente si discosta dal confronto con il limite e più complessivamente da un esame della realtà.
Sulla base di simili presupposti possiamo ritenere che la riforma della scuola nel senso della autonomia rappresenta indubbiamente un’occasione storico-culturale per affermare i principi dell’integrazione all’interno di una cultura progettuale scolastica.
Le disposizioni giuridiche che introdussero gli alunni con deficit nella scuola di tutti, nel corso degli anni settanta, concentravano soprattutto la loro attenzione sulle cosiddette integrazioni didattiche e specialistiche, trascurando l’importanza di una cultura progettuale che sapesse portarci oltre le abitudini quotidiane della scuola, verso fatti educativi nuovi modellati e modulati nel rispetto delle diversità individuali e della vita di gruppo dei coetanei.
In una scuola non integrata non è stato possibile attuare il processo di integrazione degli alunni disabili, neanche in presenza di validi supporti didattici e specialistici.
Infatti un contesto dimostra di saper accogliere la diversità quando appare predisposto ai processi di ristrutturazione. Ciò è possibile soltanto se le norme che regolano la sua vita quotidiana presentano una loro ordinaria modificabilità.
Soltanto una cultura progettuale è caratterizzata da regole chiare e modificabili, capaci di vincere la forza delle abitudini mediante una sequenza di obiettivi che rappresentano con la loro concretezza la via per un continuo miglioramento.
Incluso in un contesto di miglioramento praticabile l’alunno con deficit sarà percepito né più né meno come un soggetto che desidera conoscere una vita migliore e che magari ha paura di non farcela.
Egli sarà semplicemente aiutato a considerare con maggiore attenzione e fiducia i propri mezzi e a percorrere il suo personale cammino tra persone che, ciascuna a suo modo, vivono un’analoga esperienza.
La diversità individuale dell’alunno con deficit verrà percepita nella sua specificità, nelle sue caratteristiche particolari, ma anche come una delle differenze individuali, degna come la altre di essere conosciuta e celebrata.
Logicamente si tratta di un percorso complesso e critico, tale da esigere il più delle volte il supporto di attività riabilitative.
Non possiamo però considerare la dimensione riabilitativa come un’entità globale senza scivolare in un confuso e contraddittorio dualismo di interventi e di competenze professionali.
In questo senso può giovare una distinzione teorica e organizzativa fra tre diversi settori della riabilitazione, aventi finalità autonome, convergenti e conciliabili con il fatto educativo scolastico.
Innanzitutto è importante indicare la necessità di una riabilitazione che potremmo definire specifica, vale a dire confezionata ad hoc per quel tipo di deficit, da praticare in un contesto particolarmente attrezzato.
Ad esempio nel caso del deficit visivo possiamo riferirci alla riabilitazione delle funzioni percettive, immaginativo-motorie e sociorelazionali. In senso più strettamente funzionale possiamo inoltre riferirci al raggiungimento delle autonomie, con attenzione particolare alla autonomia nello studio, mediante la padronanza dei sussidi didattici speciali e di tutti quegli strumenti che facilitano il rapporto tra la persona non vedente o ipovedente e la realtà culturale.
La diffidenza ancora oggi diffusa e persistente intorno ai contesti particolarmente attrezzati non si dimostra nei fatti rispettosa di un’esigenza fondamentale degli alunni con deficit visivo.
Essi infatti hanno bisogno anche di confrontarsi con ragazzi che presentano la loro stessa condizione sensoriale, per conoscere e valutare meglio se stessi, le loro possibilità e i loro limiti.
La riabilitazione specifica esige un contesto particolare per consentire all’alunno di tornare nella società dei vedenti su una base di consapevolezza e di equilibrio.
In definitiva occorre capire che tra le altre cose c’è anche bisogno di un luogo dove il deficit visivo sia di casa, lontano dalla meraviglia e dalla facile indulgenza, in una parola lontano dal pathos della cecità tuttora presente nella realtà del nostro vivere sociale.
In secondo luogo possiamo distinguere e indicare tutte quelle attività che potremmo comprendere nel concetto di socioriabilitazione. Per lo più si tratta di attività motorio-espressive, ludico-sociali, ginnico-sportivo, ricreativo-culturali, da praticare in ambiente sociale integrato.
A questo proposito è necessario prendere atto che il nostro territorio civico dimostra in questo senso una grave situazione di inadeguatezza.
Non soltanto le realtà sociali di questo tipo sono carenti, ma generalmente dimostrano uno scarso coefficiente di integrazione, prevalentemente per la rigidità delle loro formule organizzative e per l’incapacità di accogliere i soggetti con deficit come una risorsa, come una opportunità di miglioramento.
Malgrado le difficoltà della situazione dobbiamo comunque insistere in questa direzione, individuando modalità di pressione sociale sempre più incisive e convincenti.
Le attività di socioriabilitazione costituiscono infatti un elemento centrale e propulsivo nel processo di integrazione sociale del bambino disabile visivo.
Gli effetti positivi di queste attività irradiano l’intera esistenza del bambino e ne facilitano sensibilmente il processo di realizzazione umana.
In particolar modo dovremmo sostenere con ogni mezzo l’inserimento dei ragazzi con deficit visivo nelle ludoteche. Un bambino non vedente o ipovedente che sappia giocare con gli altri bambini, che conosca e proponga giochi adattabili alla sua condizione sensoriale, è un bambino che difficilmente vivrà il disagio della marginalizzazione.
In terzo e ultimo luogo dobbiamo soffermarci sulla riabilitazione propriamente scolastica, intesa soprattutto come facilitazione dei processi di apprendimento e riattivazione della disposizione ad apprendere.
Indiscutibilmente questo settore è parte della funzione docente, anche se ne costituisce la dimensione più nuova e meno praticata.
Storicamente la scuola è abituata a porre l’alunno di fronte alla prova, per valutarne le capacità e le incapacità.
Diversamente la facilitazione ad apprendere è orientata dal desiderio e dalla prospettiva di procedere insieme con l’alunno, sostenendo le sue possibilità mediante supporti didattici capaci di attivare meglio le sue effettive risorse. In questo modo si evita la cronicità dell’insuccesso e si favorisce un percorso di apprendimento secondo modalità e ritmi corrispondenti alle esigenze dell’alunno.
Simili metodi di facilitazione didattica, quali ad esempio il metodo Feuerstein, non sono confezionati per gli alunni con deficit, ma più generalmente per tutti gli alunni che presentano in varia misura l’esigenza di una mediazione per affrontare con fiducia l’esperienza dell’apprendimento.
Nel caso sempre più frequente di alunni disabili visivi pluriminorati il supporto riabilitativo, in queste sue tre dimensioni fondamentali, rappresenta la parte più consistente dell’intervento.
Tale preponderanza dovrà essere controbilanciata da una relazione educativa che sappia percepire nell’alunno, nonostante la sua grave limitazione, il desiderio di vivere, il piacere di esistere ed il gusto di migliorare.
Se necessario i miglioramenti dovranno essere osservati con la lente di ingrandimento allo scopo di non scivolare in una vicenda scolastico-istituzionale di abitudini quotidiane prive di storia e di prospettiva.
Più gravi sono le limitazione funzionali, più importanza assume l’osservazione dell’umanità del soggetto, vale a dire le sue aspettative, le sue emozioni, gli sforzi della sua intelligenza per guadagnarsi uno spazio di vita più vantaggioso.
In una scuola integrata, il paesaggio del vivere e dell’apprendere si presenta variopinto e interessante. Una molteplicità di soggetti che conoscono e si conoscono, che interagiscono vivendo insieme un’esperienza duratura e significativa.
Quando la scuola riesce a rappresentare queste dimensioni, non diviene soltanto contesto educativo di apprendimento, luogo di convivenza democratica. Essa diviene inoltre l’occasione di una seconda nascita che nel rispetto della prima ci offre nuove condizioni per conoscere noi stessi, gli altri ed il mondo circostante.