Capitolo 5 – Il bambino cieco a scuola – C’è ancora molto da conoscere

Sommario:

a. C’è ancora molto da conoscere

Mario parla ad un seminario - 1993

Mario parla ad un seminario - 1993

La consuetudine ci rende naturale l’ascolto dei ciechi, della loro voce, delle loro parole che talvolta ci appaiono come il flusso di una sorgente misteriosa, che accarezza la nostra mente producendo suggestioni fantastiche e pensieri irreali.
E’ la mente dei ciechi che soprattutto sollecita la nostra curiosità, poiché la immaginiamo immersa nell’oscurità di uno spazio segreto. forse illuminato da un chiarore interno, prodotto da luci che trascendono le nostre cognizioni.
Ascoltiamo le parole dei ciechi, talvolta il loro canto, con il desiderio di entrare in contatto con la realtà sconosciuta della loro mente, dei loro pensieri, delle loro immagini.
Da parte loro, i ciechi hanno utilizzato prevalentemente la voce e la parola per socializzare le loro esperienze di vita con gli altri.
Così facendo hanno conferito scarsa importanza alla loro realtà corporea e alla conquista dello spazio ambientale.
Sono stati sempre un’esigua minoranza i soggetti non vedenti che hanno cercato nel movimento, nelle capacità spaziali, nelle abilità manuali, nell’interazione dinamica con i soggetti vedenti una realtà sociale privilegiata per la loro realizzazione umana.
Il processo di integrazione scolastica e sociale è iniziato appunto sulla base di simili prospettive.
D’altra parte bisogna pur ricordare che il professor Romagnoli, all’inizio di questo secolo, affermava con chiarezza e convinzione che il bambino cieco aveva bisogno, in particolar modo, di conoscere la corsa e i giochi di movimento, per poi dedicarsi allo studio e ai libri ben fornito di vivacità, di interessi, di esperienze piacevoli e reali.
Anche per Augusto Romagnoli la scuola comune doveva essere considerata la sede ideale per concretizzare questi obiettivi, sempre che fossero forniti al bambino gli strumenti e le occasioni di sviluppo adeguati a favorire le sue effettive possibilità.
Durante i primi anni settanta questi pensieri divennero forti e insopprimibili, tanto da generare un cambiamento rapido e drammatico, forse un po’ frenetico, certamente vissuto con eccessive accentuazioni moralistiche circa le abitudini del passato.
Più che altro si parlava dell’integrazione scolastica come qualcosa di giusto, di buono, come il segno di una società più bella e civile.
Raramente si parlava e raramente si parla ancora oggi dell’integrazione scolastica come opportunità per conoscere meglio i bambini ciechi magari anche i loro amici vedenti.
Ci potremmo chiedere infatti come influisca la socializzazione delle differenze individuali sullo sviluppo del bambino non vedente, sull’estensione delle sue possibilità.
In altre parole non c’è stata e non c’è tuttora una coniugazione tra integrazione scolastica e ricerca scientifica, come se la nuova realtà della scuola non mettesse in evidenza nuove realtà degli alunni che la frequentano.
Le possibilità presenti in una persona sono profondamente connesse con la qualità del contesto della sua vita quotidiana e dipendono in forma ancora maggiore dalla qualità delle relazioni umane che caratterizzano il fluire della sua esistenza.
Questo aspetto non ha ricevuto ancora la necessaria attenzione e cura, forse perché i significati che hanno ispirato l’integrazione scolastica e sociale sono stati prevalentemente la somiglianza e il piacere di vivere insieme.
Senza voler minimizzare il valore di questi significati, giova ribadire con energia e con chiarezza che la socializzazione delle diversità individuali, soprattutto se vissuta come progetto per nuove conoscenze, può condurci, nonostante le difficoltà del percorso, verso una somiglianza più compiuta e lungimirante, rinnovando la nostra stessa identità personale e le nostre potenzialità collettive.
Infatti le possibilità di una persona non vanno considerate riduttivamente nelle prospettiva singolare dell’individuo. E’ la qualità del vivere insieme, è l’adeguatezza delle regole che un gruppo concepisce per se stesso, è la creatività con cui vengono percepiti i limiti di ciascuno, che ci consentono di immaginare e di costruire un mondo migliore.
Apprendere insieme, pensare insieme, lavorare insieme può addirittura coincidere con il sentimento della libertà personale, sempre che avvenga in un contesto dove le diversità individuali costituiscano i colori fondamentali della immagine del gruppo.