Parte II : Vivere la cecità – Chi sono io?

Alcuni tratti della nostra cultura sembrano resistere al progresso della civiltà con una forza davvero sconcertante, che talvolta ci spinge pericolosamente verso la rassegnazione.
Per conservare fiducia e volontà di fronte alla permanenza di alcuni fenomeni culturali tanto fastidiosi e offensivi, quanto apparentemente immodificabili, occorre considerare che la forza delle abitudini può cedere soltanto al sopraggiungere di nuove abitudini più vivaci e confortanti.
Uno tra questi fenomeni culturali così refrattari al cambiamento è certamente il “saluto a indovinello” con il quale molti si avvicinano ancora oggi alla persona non vedente.
Soprattutto i bambini non vedenti sono spesso investiti dal saluto a indovinello con cui parenti ed amici di famiglia mettono alla prova la loro capacità di riconoscere la voce.
Nel caso positivo, vale a dire di avvenuto riconoscimento, simili persone esprimono con enfasi tutta la loro meraviglia, celebrando le sorprendenti capacità del bambino non vedente.
Sentirsi afferrare improvvisamente e subire una voce invadente e perentoria che ci chiede: “chi sono io?”, è un’esperienza spiacevole e perturbante, anche quando conosciamo, per così dire, la buona fede e la bontà della persona che ci ha posto l’indovinello.
In tali circostanze ci sentiamo esposti ad una esperienza che gli altri fanno di noi stessi, un’esperienza che trae la sua origine esclusivamente dalla nostra diversità limitante.
Un simile indovinello possiede qualcosa di superficiale e di sperimentale, caratteristiche che insieme producono spesso la crudeltà di un atteggiamento, anche se involontaria.
La persona che pone l’indovinello non si sente affatto crudele, poiché vive semplicemente il desiderio di avvicinarsi e il timore di non essere riconosciuta.
Per questa ragione non è facile indurla a mutare comportamento. Possiamo comunque imparare ad esprimere con delicata chiarezza il nostro disagio e, nel caso l’interlocutore dimostri di non avere orecchie da intendere, potremmo sempre iniziare a telefonargli e, al suo “pronto”, interagire con uno squillante: “chi sono io?”.