Capitolo 9 – Pluridisabilità – La dimensione del contesto nell’educazione dei soggetti disabili visivi con minorazioni aggiuntive

Sommario:

c. La dimensione del contesto nell’educazione dei soggetti disabili visivi con minorazioni aggiuntive

1. Introduzione

Un ambiente affettivo primario ci consente di apprendere le forme elementari della partecipazione e le principali condizioni del conoscere e dell’agire.
Attraverso le quotidiane esperienze della vita domestica, il bambino impara ad orientarsi nel contesto della sua famiglia, articolando le possibili dimensioni della sua presenza personale.
Abbiamo voluto configurare simili articolazioni, allo scopo di offrire un valido schema di riferimento che possa in qualche misura migliorare la comprensibilità del nostro ragionamento successivo.

2. Schema degli apprendimenti radicali, generalmente offerti da un ambiente affettivo primario

a) Il bambino impara ad essere un “lui”, mediante gli schemi sociali “noi ci occupiamo di lui”, “io mi occupo di lui”.
In questo modo il bambino apprende a funzionare come oggetto di attenzioni, di cure e di iniziative.
b) Il bambino impara ad essere un “tu”, mediante gli schemi sociali “noi ci rivolgiamo a te”, “io mi rivolgo a te”.
In questo modo il bambino apprende a funzionare come interlocutore; egli apprende l’esperienza della partecipazione, del conflitto, della separazione e della riconciliazione.
c) Il bambino impara ad essere un “io”, mediante gli schemi sociali “io mi rivolgo a te”, “io mi rivolgo a voi”.
In questo modo il bambino apprende l’esercizio della soggettività, divenendo gradualmente più convinto e più responsabile delle proprie esperienze interiori (desideri, paure, aspettative, esigenze, ecc.).
d) Il bambino impara ad essere parte di un “noi”, mediante le esperienze e le decisioni condivise con il gruppo della famiglia o con parte di esso.
In questo modo il bambino apprende a contenere le possibilità e i limiti della propria soggettività. La dimensione del noi rappresenta, più di ogni altra, l’esperienza che rende possibile la coniugazione del senso di sicurezza con il senso di libertà.
E il bambino impara ad essere parte di un “voi” mediante gli schemi sociali “io mi rivolgo a voi”, “noi ci rivolgiamo a voi”.
In questo modo il bambino apprende a vivere un’azione comune e a condividere il senso della responsabilità.

3. Nuove funzioni per la scuola

Naturalmente non sempre la famiglia possiede in misura adeguata le articolazioni sociali e la struttura organizzativa per consentire e promuovere nel bambino simili apprendimenti radicali.
Le attuali condizioni dell’istituzione famiglia dimostrano più che altro una accentuazione delle esperienze frammentarie e caotiche, nelle quali le varie forme della presenza personale tendono ad intrecciarsi e a confondersi in una sorta di magma socio-affettivo, nel quale risulta molto difficile distinguere il chiedere dall’offrire, il giudicare dal conoscere, l’agire dal reagire, il pensare dal sentire.
In simili circostanze il bambino entra nella scuola senza possedere una sufficiente capacità di governare le forme elementari della propria presenza personale.
Questa incapacità rende pressoché impossibile al bambino di collocarsi nel gruppo scolastico mediante una posizione di apprendimento.
In altre parole il bambino non è in grado di assumere la funzione di alunno, di soggetto che apprende nel contesto di un gruppo sociale organizzato in tal senso.
Da parte sua, l’istituzione scolastica dovrà gradualmente prendere atto di questa condizione infantile, sempre più frequente, anche se con differenti misure di gravità.
A tale proposito l’istituzione scolastica ha bisogno di imparare a svolgere funzioni relativamente nuove, che per molti aspetti richiamano la funzione socio-riabilitativa.
In particolar modo “osservare con l’alunno le sue caratteristiche personali”, “riattivare la sua disposizione ad apprendere”, “facilitare i suoi tentativi di apprendimento”, dovranno divenire funzioni ordinarie dell’organizzazione scolastica, vale a dire funzioni che prescindono dalla segnalazione di specifici limiti funzionali.
Per adesso la scuola continua più che altro a immaginare alunni esemplari, sempre meno frequenti e sempre meno esistenti.
Per altro la scuola continua a meravigliarsi della gran parte degli alunni, vale a dire quelli che fanno ingresso nella scuola senza dimostrare una vera e propria disposizione ad apprendere.
Per lo più si tratta di bambini che apprendono esclusivamente nell’immediatezza delle situazioni sociali e che rifiutano sistematicamente di collocarsi in una situazione sociale più strutturata, dove l’io, il tu, il lui, il noi, il voi e il loro possano essere distinti e complementari secondo i criteri di un gruppo funzionale.
In queste distinzioni il bambino avverte confusamente il pericolo della solitudine e tende immediatamente a rifugiarsi in un mondo fantastico che in qualche modo lo riconduce nella sua abituale confusione di esperienze frammentarie.
Per aiutare un bambino che vive una simile condizione, è necessario rivisitare con metodo graduale e progressivo le forme elementari della sua vita sociale, aiutandolo a distinguerle e a conoscerne i diversi vantaggi presenti in ciascuna di esse.
Si tratta pertanto di svolgere una difficile funzione di contenimento promozionale, mescolando sapientemente la vicinanza affettuosa con la richiesta di responsabilità e di impegno.
Per dirla con Enrico Pestalozzi, la scuola dovrà dimostrarsi capace di concretizzare il suo “amore pensoso”, la sua funzione genitoriale pervasa di passione civile e di gusto per la libertà.

4. Rinnovare le funzioni tradizionali della scuola

Occorre inoltre chiarire che la scuola non potrà limitarsi ad acquisire queste nuove funzioni di contenimento promozionale. Sarà infatti necessario rinnovare le due funzioni tradizionali della scuola, il “fare lezione” e “organizzare un corso di lezioni”.
Per quanto riguarda il fare lezione, occorre soprattutto avvicinare i contenuti delle singole discipline all’esistenza degli alunni, affinché possano risultare maggiormente significativi.
In questo senso bisogna dire che le istituzioni scolastiche hanno cercato soprattutto di semplificare i contenuti delle singole discipline, non considerando che la semplificazione conferisce al contenuto disciplinare una fisionomia ancora più logica e distante dall’esistenza dell’alunno.
Soprattutto i bambini hanno bisogno di presentazioni complesse e vive, capaci di introdurre nell’aula la flagranza percettiva del contenuto disciplinare, la sua presenza coinvolgente, capace di attivare il loro impegno mentale.
Fare lezione è una funzione magistrale che implica conoscenze, abilità e atteggiamenti. Apprendere questa funzione richiede studio ma anche tirocinio, esperienze pratiche e collaborazione tra colleghi.
Per quanto concerne l’organizzazione di un corso di lezioni, sarà necessario individuare i contenuti essenziali di una disciplina, il loro oggettivo coefficiente di difficoltà e un adeguato ritmo di progressione.
Gli alunni hanno bisogno di essere chiamati ad apprendere con energia e con determinazione. D’altra parte essi hanno bisogno di ricevere gli strumenti adatti a consentire il loro percorso di apprendimento.
Logicamente la fornitura degli strumenti deve tener conto delle differenze individuali che distinguono i singoli alunni, allo scopo di offrire a ciascuno di essi l’opportunità di un successo scolastico.
Tutto questo configura la scuola come un’istituzione dotata di validi gruppi funzionali di lavoro. In questo senso l’identità dei singoli docenti dovrà essere concepita con maggiore duttilità e con maggiore flessibilità, utilizzando ciascun docente secondo criteri più rispondenti alle sue caratteristiche personali.
Una scuola così concepita sarà certamente più capace di accogliere e di riconoscere gli alunni nella loro identità personale, chiedendo a ciascuno il meglio di sé, lungo la prospettiva di un apprendimento più integrato e più significativo.

5. Un contesto educativo di apprendimento per i soggetti disabili visivi con minorazioni aggiuntive

Spesso la nostra scuola trascura l’importanza del contesto e non svolge in misura sufficiente un esame critico circa gli effetti nocivi derivanti da carenze contestuali, che soprattutto in alcuni casi potrebbero essere colmate con relativa facilità.
Tali carenze riguardano prevalentemente le condizioni estetiche dell’istituzione scolastica, i presupposti organizzativi del fatto educativo, le circostanze sociorelazionali della vita di classe e le articolazioni funzionali del gruppo dei docenti.
Naturalmente l’inclusione scolastica degli alunni disabili ha posto in evidenza simili carenze con tale drammaticità da suscitare ulteriori turbamenti che non hanno giovato alla comprensione del problema.
Il contesto della vita scolastica continua ad essere considerato dagli insegnanti un aspetto quasi trascurabile della situazione, mentre per gli alunni rappresenta il colore ed il senso delle loro esperienze nella scuola.
La cura degli ambienti, la mimica dei volti, i toni della voce, la gestualità dei corpi, il rapporto tra parole e comportamenti, il valore reale delle regole, il rispetto dei progetti concertati sono, ad esempio, alcuni aspetti che tra gli altri consentono a ciascun alunno una valutazione concreta della sua scuola e l’indicazione più efficace per orientarsi nel labirinto delle relazioni scolastiche.
Logicamente gli alunni disabili visivi con minorazioni aggiuntive possiedono minori strumenti simbolico-relazionali e quindi subiscono maggiormente le carenze del contesto scolastico.
Nel rapporto con simili alunni la scuola dimostra la sua effettiva adeguatezza nella misura con cui riesce ad offrire un contesto educativo di apprendimento nel quale risultano coniugati e ben articolati il contenimento delle emozioni, l’invito a conoscere, a capire e a riuscire, nonché una facilitazione dei processi di apprendimento.
In qualche modo le istituzioni scolastiche dispongono di queste tre funzioni ma generalmente le utilizzano ciascuna per volta, in contesti nettamente separati.
Viceversa nel caso di alunni così carenti dal punto di vista funzionale, occorre concepire un contesto nel quale queste tre delicate funzioni vengano a comporsi secondo una metodologia capace di coniugarle, calibrando le dosi della composizione in rapporto alle esigenze di ciascuna singola situazione.
Infatti l’alunno disabile visivo e pluriminorato ha bisogno di sentirsi “oggetto di cure”, “interlocutore di sollecitazioni”, “protagonista da sostenere” e “soggetto partecipe di azioni collettive”.
Occorre aggiungere che simili esigenze si presentano, nel corso della sua giornata scolastica, secondo misure molto variabili, a causa della sua labile struttura dell’io e della sua instabilità emozionale.
Tutto questo richiede una prolungata esperienza ed una competenza molto qualificata. Difficile pensare che simili doti possano diffondersi equamente sul territorio scolastico nazionale.
E’ molto più realistico pensare a strutture scolastico-riabilitative nelle quali la dimensione clinico-pedagogica presenti una particolare consistenza nell’organizzazione del contesto educativo di apprendimento.
Naturalmente non immaginiamo istituzioni segreganti ma più semplicemente istituzioni scolastiche ordinarie, arricchite da funzioni educative speciali integrate, nei limiti del possibile, nel contesto complessivo della realtà scolastica.
Come sempre a questo punto ci sarà qualcuno che saprà evocare e agitare i fantasmi dell’esclusione e della separazione. Da parte nostra riteniamo soltanto che sia giunto il momento, forse anche tardivo, di offrire a simili alunni una risposta scolastica commisurata rigorosamente alle loro effettive difficoltà ed anche alle loro reali possibilità.