“Identità professionale dell’insegnante e l’articolazione delle funzioni docenti nell’ambito dell’autonomia”
LEZIONE III: La programmazione
L’argomento si particolarmente difficile, la ragione sta nel fatto che devo parlare della capacità di programmare e su questa parola, programmazione, ne sono state dette veramente tante. A mio modo di vedere è molto più semplice parlare di argomenti di cui si è trattato poco, piuttosto che di altri sui quali invece è stato detto molto. Soprattutto è difficile parlare di tematiche che sono andate di moda, perché dopo anni ed anni durante i quali ispettori, studiosi, redattori, gente di vari settori del mondo della scuola si è faticata più o meno a cercare di parlare di programmazione, si rischia di essere frainteso.
Il fraintendimento che io ritengo più probabile e che quindi devo subito cercare di evitare è quello con il quale si può confondere il concetto di programmazione con il concetto di istruzione programmata.
In quanto si tratta di argomenti diversi, ma per certi aspetti la seconda, l’istruzione programmata, può essere, nella migliore delle ipotesi, considerata come un settore del primo concetto, quello di programmazione. In quanto chiariamo subito che l’istruzione programmata, rispetto alla programmazione, costituisce soltanto una parte. Perché una programmazione, se parliamo in termini scolastici complessivi, non concerne soltanto l’istruzione, in quanto l’istruzione è nella scuola soltanto un aspetto, e questo forse non è chiarito bene né sui libri di pedagogia né sui libri attuali di didattica. Quindi questo è il primo fraintendimento che dovremmo cercare poi di tenere presente come rischio di essere vigili a non cadere in questa forma di confusione.
Ho ascoltato in questi anni decine e decine di interventi, ho letto anche dei libri sulla programmazione, si parla in genere di analisi della situazione, di analisi dei mezzi e degli strumenti, di analisi degli obiettivi, di analisi egli strumenti di valutazione e di verifica. Si parla di tutto ciò e invece non si parla fatto di, nell’ipotesi più positiva se ne parla pochissimo, di esperienze. Vale a dire sembra come se la programmazione fosse comunque qualcosa di tecnica didattica.
Se ci pensate in questi ultimi 15 anni il tecnicismo ha preso una piega così meccanicistica, così sterile da assumere delle proporzioni veramente sterilizzanti in fatto scolastico.
Io sono convinto che in questi giorni nella scuola italiana, di fronte ai fatti che stanno accadendo per esempio nella ex- Jugoslavia, gli insegnanti sono paralizzati dal fatto che hanno fatto o non possono cambiare, oppure stanno affrontando la questione della mini Jugoslavia Serbo- Montenegrina e la regione del Kossovo in termini didattici. Non che non ci siano eccezioni che hanno superato queste insidie, ma nella grandissima maggioranza dei casi noi ci troviamo di fronte queste due eventualità.
Nel primo caso la programmazione diventa nemica dell’esperienza e, quindi, diventa un vero castigo di Dio, nel secondo caso la programmazione isterilisce in mera prospettiva didattica, cioè come istruire i miei alunni su quello che sta succedendo. Non sono poi così differenti le due posizioni perché tutte e due sono in qualche modo ostili rispetto all’esperienza che l’alunno fa. Io vorrei aiutarvi a concepire la programmazione come amica delle esperienze, non come parte che si propone, quindi una bandiera, tra l’alunno stesso, la classe e l’esperienza intesa sia come esperienza quotidiana sia più precisamente come esperienza scolastica.
Non so se vi ricordate, quando fu il caso della Guerra del Golfo, ci sono state delle situazioni in cui i ragazzi venivano a scuola dicendo “Sai, ieri sera abbiamo visto con papà la Guerra del Golfo in TV”, questo soprattutto nella scuola elementare, come se la sera prima avessero visto 2001 Odissea nello spazio ed il giorno dopo la Guerra del Golfo. Lo spirito era per lo meno lo stesso.
Qui la confusione è tra esperienza reale ed esperienza informativa, tra esperienza reale e comunicazione di immagini attraverso mezzi di comunicazione di massa. Sempre e comunque il problema è di distinguere tra quella che è esperienza dell’alunno da eventuali altre esperienze di tipo simbolico che non rappresentano la realtà, perché non so collegati con la realtà esistenziale dell’alunno stesso.
Come vedete la riflessione è piuttosto difficile, non siamo abituati a are questo tipo di riflessione perché uno di voi mi potrebbe dire “Ma che differenza c’è tra una esperienza informativa ed un’esperienza reale, perché quella informativa non è reale?”. Si, è reale ma riguarda della realtà una parte assolutamente artefatta da chi me l ha organizzata. Se io voglio fare una distinzione tra un’esperienza del fiume, parliamo di geografia, entriamo quindi perfettamente in argomento di programmazione, un conto è vedere alla TV Linea Verde, un programma magari bellissimo fatto sul Tagliamento, un altro discorso è che i ragazzi che abitano nell’Alto Adige, che se ne vanno sul fiume a vivere il fiume in un punto dove possono prendere una barca, in un punto dove possono mettersi parte in una sponda parte dall’altra, per giocare tra di loro ed anche con il fiume.
Ora si tratta di vedere se io nella mia programmazione di geografia, inserisco le esperienze di un elemento geografico come il fiume come un’esperienza cruciale oppure no, se decido di limitarmi all’esperienza del fiume a qualcosa di puramente informale.
Se io ho conosciuto almeno un gatto selvatico almeno quello vissuto nell’ambiente in cui vive, se poi parliamo di una lince non è detto che io debba andare a fare l’esperienza dell’habitat della lince perché potrebbe essere pure pericoloso, allora io posso arrivarci per metafora, per somiglianza.
In genere noi quante esperienze facciamo per somiglianza, nel senso che vediamo, non so, le Cascate delle Marmore, poi magari ci parlano delle Cascate del Niagara. Ad un certo punti, aiutandoci un po’ con la fotografia, con i film e un po’ anche con l’esperienza diretta che abbiamo fatto della Cascata delle Marmore, raggiungiamo un avvicinamento sufficiente per quello che sono le nostre esigenze, anche all’esperienza del che non abbiamo fatto dell’esperienza del Niagara.
Questo lo si può riportare a tutto altrimenti di ogni cosa dovremmo fare esperienza. Pensate un po’ quando l’esperienza riguarda cose assolutamente disdicevoli. L’aiuto di questi paragoni serve moltissimo per capire esperienze che non si possono fare.
L’esperienza se ragionata, se guidata, è sempre fronte di saggezza. Purtroppo non le possiamo fare tutte perché alcune sono pericolose e altre sono troppo dispendiose, altre senza ritorno. E quindi l’alunno deve imparare non solo a fare esperienze dirette ma anche a far esperienze per somiglianza e poi sapere valutare dentro di sé in proporzione e con altre che non potrò mai fare.
È chiaro che non potrò fare esperienza di tutto, perché la scuola non è adatta per vivere esperienze di tutto. La scuola è soprattutto qualificazione dell’esperienza, quindi serve a fare poche esperienze, ma qualificanti.
Ma la programmazione dovrà servire proprio durante l’anno per scegliere quelle poche ma qualificate esperienze cruciali sulle quali partire per sviluppare un discorso che sia disciplinare, sia multidisciplinare, sia transdisciplinare, cioè al di là delle varie discipline. Se io in faccio questo discorso di esperienze cruciali da mettere in fila, io tenderò a ridurre tutta l’esperienza scolastica in questione semplificata di informazioni, di acquisizioni, di informazioni organizzate secondo un criterio ricettivo e magari nella migliore delle ipotesi anche esercitative. Ecco dove sta l’isterilemento.
Per cui ritornando alla questione della guerra, oggi come oggi per fare veramente scuola su quello che sta succedendo nei paesi della Ex- Jugoslavia, evidentemente bisognerà andare a toccare con mano qualcosa di reale che accade accanto a noi quotidianamente, a prescindere da quelle che sono le informazioni sulla guerra. Non che le informazioni non siano importanti, intendiamoci, ma se sono collegate con esperienze reali, che non è detto che siano direttamente di guerra, perché la guerra qui non c’è, ma dei riflessi vengono dal fatto che c’è la guerra oggi come oggi ci sono. È interessantissimo andare a ricercare cosa sta cambiando. Ad esempio il fatto stesso che il Presidente della Repubblica aveva già promesso che si sarebbe dimesso, tanto per dire un fatto, ma è un fatto reale. Allora andiamoci ad informare di questo, ma informiamoci di persona, facciamo un’esperienza diretta in questo senso. I ragazzini questi fatti li prendono sul serio, e sul serio nel senso che non hanno a fare le valutazioni interpartitica, per coalizione e così via. Tenderebbero a guardare i fatti e magari ragionarci esercitando la loro capacità di ragionamento.
Perché è vero o non è vero che la scuola avrebbe come obiettivo anche questo famoso sviluppo della personalità o sono storie? Oppure non è più vero che sta scritto sui programmi, che quello si dice solo, che cosa intendiamo di pratico quando diciamo sviluppo della personalità? Intendiamo soprattutto lo sviluppo delle forze dell’Io e quali sono queste benedette forze dell’Io? Non è misterioso, perché se noi non concorriamo a sviluppare le forze dell’Io, noi non stiamo facendo scuola, al massimo siamo degli istruttori. Gli istruttori vanno bene se uno ha già fatto scuola e poi deve istruirsi, in un settore specifico, tecnico. Infatti esistono gli istruttori tecnico-pratici, esistono istruttori soltanto teorici e così via. Ma sempre istruttori sono. Non lo dico con disprezzo, magari sono una funzione nobile, ma poco scolastica. Ad un istruttore non verrebbe mai in mente che deve sviluppare le forze dell’Io del soggetto da istruire. E magari gli viene pure in mente perché ad esempio sotto le forze armate, nella leva militare, di istruttori ce ne sono tanti ed hanno in mente di sviluppare la personalità. In questo caso, guardate, non del bambino, ma del ventenne. E magari esagereremo pure, perché ormai la personalità è già sviluppata. Quindi al massimo riescono a cercare di forzare il carattere di queste persone. Ancora per poco perché ormai la personalità è già sviluppata. Quindi al massimo riescono a cercare di forzare il carattere di queste persone. Ancora per poco perché sembrerebbe che la leva sia per risolversi, ma comunque ancora ci provano. Sarebbe assurdo allora che gli istruttori ancora ci provano ad essere in qualche modo attivi nello sviluppo della personalità degli istruiti ed invece gli insegnanti rinunciano a questa funzione che è invece una loro prerogativa principale.
Infatti l’istruzione nel caso della scuola, almeno della scuola italiana, è un’istruzione educativa, secondo i criteri pestalozzaini, vale a dire un’istruzione che significa un’occasione per sviluppare le forze dell’Io, per sviluppare la realizzazione della personalità di ciascuno degli alunni.
Vediamo quali sono, non si può fare certo una lezione di psicologia, tanto per enumerarli, in modo che avete in mente che cosa significa poi. Perché certo non potete sviluppare gli istinti dell’alunno o le sue emozioni, questo non ci pensate per niente, perché quello se mai lo impara a forza da solo, ma l’unica cosa su cui si può influire sull’alunno è la struttura dell’Io.