“Identità professionale dell’insegnante e l’articolazione delle funzioni docenti nell’ambito dell’autonomia”
Le tre fasi dell’insegnamento
Sia nelle classi elementari sia nella scuola media di primo grado e anche in quella di secondo grado che qui non è presente e me ne dispiace perché comunque è un limite di questi nostri incontri che non siano presenti gli insegnanti della scuola media superiore.
La storia, senza partire da Adamo ed Eva, la storia della funzione docente degli ultimi decenni è una storia soprattutto di abitudini. È una storia, diciamo così, in cui l’insegnante deve farsi all’inizio una sua fase, in termini militari, di “gavetta” per cominciare un poco ad orientarsi nella scuola. Adesso si parla di tutor per la prima fase, ma poi al di là delle belle parole riverniciate in inglese o in qualche altra lingua, è di fatto quella fase in cui comincia a capirci qualcosa. Ed è una fase in cui l’insegnante sa benissimo che non può vivere di abitudini perché le abitudini ancora non le ha. A questa fase di gavetta, segue una fase di abitazione. Questa area è caratterizzata da una leggera diminuzione della sensibilità, parlo in generale ovviamente con le dovute eccezioni, con un aumento però di sicurezza nel senso che uno sa quello che deve fare. Quindi se entra in questa fase con un atteggiamento che è più configurato, più stabile, forse però anche un po’ meno attento alle variabili, soprattutto a quelle variabili nuove, a quelle che in un certo senso non possano essere definite trascurabili in una prima istanza e che spesso però purtroppo non lo sono. A questa seconda fase di abitazione, segue una terza fase è che già più complessa perché non riguarda tutti gli insegnanti, che varia molto da insegnante a insegnante ed è una fase in cui alcuni insegnanti arrivano ad una sorta di saturazione delle abitudini e cominciano a guardarsi intorno per cercare do fare qualcos’altro, comunque di allontanarsi in qualche modo dal servizio. Un po’ quello che succede ai vigili urbani, ai carabinieri, a molte altre categorie. Si chiama “uscita dal campo”, trovando dei rimedi a questa situazione che comincia a diventare francamente più frustrante perché meno significativa. Qualcuno mi potrebbe interrompere dicendo che per qualche insegnante questa fase arriva prima di quella di abitazione. Io però non vorrei prendere in considerazione questi esempi così rovinosi perché non ci aiutano a capire la storia di una professione.
Devo parlare non dico scientificamente perché sarebbe esagerato usare questo termine, ma devo parlare però con una visione quanto meno rigorosa, rispettando le statistiche, almeno quelle. La maggior parte degli insegnanti si alterna tra questa terza fase che ho definito di saturazione e una diversa terza fase in cui l’insegnante comincia a ricavarsi dal proprio lavoro quegli aspetti che gli piacciono di più e a potenziare, sia da un punto di vista tecnico, sia da un punto di vista di approfondimento culturale. Vale a dire scevera, distingue quello che li sembra più adatto alla propria personalità e alle proprie capacità da quello che decide di non sapere fare bene e quindi tende a lasciare fare a qualcun altro, sempre che ciò sia possibile.
Allora questa prima analisi, potremmo dire della carriera, nell’aspetto del contenuto a me già fu possibile a quel tempo, nel periodo iniziale dell’analisi, cominciare a capire qualcosa: che quello che doveva essere capito meglio era questa terza fase, non nel senso della saturazione, ma nel senso della maggiore personalizzazione della professione. Perché il futuro di una scuola più flessibile non poteva che risiedere in questo caso, nell’offrire agli insegnanti una maggiore capacità di muoversi in questa direzione. Perché il lavoro degli insegnanti stava diventando sempre nella scuola cosiddetta di massa un lavoro alienante proprio dal punto di vista dei rapporti tra esistenza personale e lavoro. E siccome invece la relazione educativa e didattica esige un grado di personalizzazione piuttosto alto per non essere frustrante, per essere governata con un senso di soddisfazione interno, c’era bisogno di favorire questo tipo di processo. A quel punto m’era più chiaro cosa fare.