Parte II : Vivere la cecità – Una fata metropolitana

Era un pomeriggio di novembre così umido e caldo da evocare le immagini e i desideri dell’estate.
Il traffico era intenso oltre i limiti della sopportazione. Come al solito i passeggeri erano troppi e si urtavano con fastidio, ma il fastidio era quasi sommerso dalla stanchezza e da un’inquieta sonnolenza.
Seduto nel mio posto prediletto, dietro al conducente, al termine di una giornata di lavoro dinamica e impegnativa, io sonnecchiavo e fantasticavo perdendo spesso la cognizione del tempo e dello spazio.
La mia scarsa vigilanza e l’intensità del traffico non mi consentirono di riconoscere la brusca curva a sinistra che ogni giorno sollecitava in me il pensiero di scendere.
Ad un certo punto l’autobus cominciò a marciare più spedito ed una spettacolare curva a destra in salita rimarcò con evidenza che non ero sceso al momento giusto.
Naturalmente mi affrettai a scendere alla prima fermata per non prolungare quel traggitto inutile.
Una volta sul marciapeidecercai di ricostruire con la mente l’errore ed il luogo dove mi trovavo, per poter tornare finalmente verso casa.
Questo francamente non fu difficile; viceversa mi resi conto con timore e preoccupazione che dopo un breve tratto a sinistra lungo il marciapiede avrei dovuto traversare un viale molto largo, privo di semafori e caratterizzato dallo scorirmento veloce delle automobili.
Raggiunto il viale guardai l’orologio e compresi che si era fatto buio. Di pedoni che potessero aiutare ad attraversare non c’era neanche l’indizio.
Cercai di chiedere soccorso agitando vistosamente il mio bastone bianco, ma gli automobilisti sfrecciavano così veloci da non avere il tempo necessario per fermarsi.
Decisi di aspettare per mezz’ora, dopo di che avrei tentato la soluzione più rischiosa.
La mezz’ora trascorse lentamente e nervosamente, senza risultati.
Mi feci coraggio, mi avvicinai progressivamente al bordo della strada, sempre più vicino alla linea di scorrimento, mettndo bene in evidenza il bastone bianco.
Alla prima occasione di relativo silenzio cominciai l’attraversamento, roteando il bastone bianco allo scopo di renderlo un segnale drammatico difficilmente trascurabile.
Due frenate stridenti accompagnate da grida e da insulti mi fecero rabbrividire, ma ragigunsi comunque il mariciapiede opposto, in uno stato di vera e propria agitazione.
Non mi ero ancora ripreso quando un’automobile si fermò e una persona scese dirigendosi rapidamente verso di me.
Ebbi un sussulto di paura, pensai a nuovi problemi da affrontare.
Si trattava invece di una signora molto cordiale che aveva visto la scena e che desiderava rendersi utile.
Con determinazione e semplicità volle conoscere il mio indirizzo e mi accompagnò a casa in pochi minuti, senza commentare l’accaduto.
Ricordo il suo saluto affettuoso e discreto, la sua voce intelligente e misurata.
Mi torna spesso nella mente il suo modo di essere e soprattutto la ricordo ognivolta che un bambino mi parla delle fate.