“Identità professionale dell’insegnante e l’articolazione delle funzioni docenti nell’ambito dell’autonomia”
LEZIONE V: L’ osservazione
Non entro nel merito di tutte le osservazioni sistematiche che girano oggi, i test, diciamo, che vanno bene, che servono anche quelli. Si, è vero che vanno, ma è anche vero che servono a poco per cui è bene farli ma sapendo che servono molto a poco. Il che non significa che non servono a niente, significa esattamente quello che ho detto, che servono a poco perché sono generici, perché sono eccessivamente convenzionali, sono standardizzati, sono uniformati, non hanno quella dote di essere conformi e confezionati su misura per una persona. Per questo il consiglio che vi do è di accompagnare sempre più all’osservazione qualcosa che poi assomiglia al discorso sul contenimento, per questo lo sto facendo da ultimo, un’osservazione di tipo partecipativo. Vale a dire un’osservazione che non nasce da un’indagine sull’altro, perché l’indagine sull’altro è comunque un’osservazione di tipo investigativo, e il bambino ha poco bisogno di essere investigato. Anche l’adulto d’altra parte, nessuno di noi ama essere investigato, anche perché abbiamo ragione a non amarlo perché se qualcuno viene a sapere di noi delle cose che noi non abbiamo detto, comunque lo saprà in una maniera falsata, per cui se servono in un tribunale va bene, va bene insomma, nel senso che comunque poi un crimine non può essere confessato dall’imputato, deve essere in qualche modo acclamato dai testimoni e dalle prove documentali. Sarebbe troppo sciocco, ingenui, aspettarsi che sia il colpevole a dire quello che ha fatto. Qualche volta succede, ma il più delle volte no, e l’imputato ha comunque diritto a dire le bugie, almeno per la nostra legge è cosi.
Ma quando non ci sono crimini, quando si parla semplicemente di vita vissuta, allora l’osservazione dovrebbe partire da un atteggiamento che con l’investigazione non h niente a che spartire.
Anche l’esame è un’investigazione, anche le prove di ingresso sono un’investigazione in un certo senso, per cui non è quello il modo migliore di cominciare con l’osservazione.
L’osservazione partecipe significa parlare con l’altro, fare delle cose insieme, e quello che emerge da questi parlare e fare con l’alunno diventa la realtà dell’alunno stesso, che a questo punto è confermato già dall’inizio, confermato lo uso apposta, ma non è la parola giusta, ovviamente, è dichiarato, è che è socializzato dall’alunno stesso. L’alunno mi dice di essere quello che è in grado di dirmi di sé, è quello che io capisco di lui, senza che lui me lo dica, ed io lo socializzo con lui, per farlo diventare un’altra cosa da lui stesso, di sé.
Ed è attraverso questo tipo di osservazione che io arrivo alla conoscenza dell’alunno e molto di più che in quell’altro modo. In quell’altro modo arrivo all’oggettivazione dell’alunno che in minima parte può essere utili e che ripeto ancora una volta soltanto in minima parte, per lo più non serve a nulla. Perché se io capisco dei fatti, ma non capisco come sono stati vissuti, con quali intenzioni sono stati decisi e quindi con tutto quello che può essere il contesti della persona che in qualche midi li ha portati avanti, ed io quei fatti li vedo proprio come qualcosa che potrebbe avere un significato lontanissimo da quello che io ho interpretato.
Per questo devo sempre are una distinzione netta tra quello che è il crimine o il delitto e quello che è il comportamento. Perché il crimine o il delitto devono essere assolutamente separati dal contesti personale, e semmai poi io ritorno sul contesto personale in chiave di sentenza perché voglio vedere se ci sono attenuanti o aggravanti, ma quello è un altro discorso. Ma il fatto di per sé prescinde da queste discussioni, ma quello è un altro discorso. Ma il fatto di per sé prescinde da queste discussioni qui, per cui un avvocato ma anche un giudice che si mettono a parlare di un reato, prima devono oggettivare il reato, perché il reato o viene oggettivato o non ha senso. Ma per questo semmai c’è da discutere coi cosiddetti reati di opinione, perché i reati d’opinione non sono dei comportamenti e tanto meno sono dei fatti. I reati d’opinione per molti di noi, io mi ci metto tra loro, non esistono, almeno in una società che voglia effettivamente essere civile. Gli unici reati possono essere dei fatti, non degli atteggiamenti. Ed infatti sono proprio fatti quanto sono oggettivabili.
La persona non è mai oggettivabile, perché se riesco ad oggettivare una persona, l’ho schiacciata nella sua oggettivazione. E quindi parzialmente l’ho distrutta, tanto più un alunno che è fragile.
E allora quando si parla di osservazione sarebbe bene avere sempre presente questa annotazione che vi ho fatto.
L’osservazione su test e questionari ci può essere utile per organizzare meglio la nostra programmazione educativa e didattica, ma semplicemente per graduare e per organizzare meglio il discorso di istruzione programmata, che non è certo l’anima della scuola.
Perché l’anima della scuola continua ad essere fino a prova contraria la relazione educativa.
Che non è una cosa così fumosa come vorrebbero certi professori di oggi, parlo di professori universitari molto concentrati nelle dimensioni cognitivo- comportamentali.
La relazione educativa è tutt’altro che fumosa, la relazione educativa è la relazione tra una persona che ha intenzione e desiderio di aiutare l’altro a crescere, nel rispetto però della sua personalità.
Questo non è fumoso, è soltanto qualche cosa che magari non può essere misurabile, ma dove sta scritto che le cose più preziose della vita sono quelle misurabili? E allora perché non sono misurabili, nonostante siano preziose, che dobbiamo considerare solo tutto ciò che è misurabile? Questo significa essere idioti, e noi forse stiamo andando verso questa forma di idiozia, vale a dire che non capiamo che esiste una dimensione artistica dell’educazione, dell’istruzione, che si avvale delle scienze dell’educazione ma non coincide con esse, per cui scienza ed arte devono continuare a convivere nella scuola.
In questo momento c’è da parte della scienza un atteggiamento poco scientifico, direbbe Einstein, cioè un atteggiamento di orgoglio, di nevrosi d’orgoglio, da parte della scienza, che vorrebbe accaparrarsi l’arte. State tranquilli che non ci riuscirà mai.
Diceva Einstein che il mistero della condizione per essere scienziati è soltanto chi ha pietà per se stesso e per la propria intelligenza, che tutto sommato è molto più relativo di quello che sembra, riesce ad essere un vero scienziato. E quindi uno scienziato pietoso, dice Einstein, sarà anche rispettoso per le cose grandi della vita, che non sono quelle scientifiche, ma sono quelle che fanno anche essere felici di essere nati, felici di vivere, felici di andare avanti. La scienza ci aiuta ad usare, a pensare, a ragionare, ad essere un po’ meno mostruosi certe volte. Ci aiuta a capire a volte i limiti ed anche di certo i nostri impeti, quindi preziosa anch’essa, purchè si sappia stare al proprio posto. Perché ha anch’essa un suo posto, non può diventare il tutto, come non può divenire un tutto nemmeno l’arte, nemmeno la religione. Ciascuna di queste dimensioni ha la sua funzione e la saggezza le riunisce tutte in una cosa sola. C’è uno squilibrio in questo momento, per cui c’è un atteggiamento veramente accaparratore da parte di una scienza che è poco scienza, perché è più tecnica della scienza e sta cercando proprio di mettere in piedi sopra l’atteggiamento magistrale che è molto orientato anche dall’intuitività, dalla saggezza, da quanto prima detto.
Preferisco chiudere con questa riflessione che è sicuramente molto polemica e ve lo dico con molta serenità, ma è una polemica che sento molto profondamente giusta e per quanto mi riguarda continuerò a combattere perché si capisca questo: che la pedagogia non è morta, che non ha lasciato il posto alle scienze dell’educazione. Lo dico da psicologo, perché anche la mia professione è fatta così, non è solo scientifica.
Diceva il poveri, povero perché molto poco capito, Franco Fornari: “Noi rischiamo la militarizzazione della scienza”: lo diceva negli anni 70.
Uno psicologo non può pensare di avere la scienza del suo paziente in tasca, perché non esiste. Può usare la scienza per avere una sorta di metodo, una sorta di tecnica di riferimento, ma se poi non si lascia un attimo coinvolgere dalla logica del transfert e del controtrasfert, quindi dalla dinamica interpersonale, è sicuro che non potrà mai capire niente della persona che ha davanti.
Questo vale anche per l’educatore, quindi questi educatori che misurano tutto e che oltre a misurare non sanno fare altro, a me personalmente fanno non dico rabbia, dico tenerezza perché prima o poi si accorgeranno della loro inefficacia, perché è ovvio che sia così.
Perché nella formazione dei docenti questa parte quindi dovrà essere ripresa. Un tempo c’era il tirocinio che serviva molto in questo senso, adesso il tirocinio è stato completamente tirato fuori. Io spero che prima o poi si recuperi, magari con un altro nome, perché così vanno le cose del mondo, e potremo recuperare questa forma dell’esperienza pratica guidata.