Lezioni – Corsi di aggiornamento

“Identità professionale dell’insegnante e l’articolazione delle funzioni docenti nell’ambito dell’autonomia”

LEZIONE III: Il circle time

La Professoressa Francescato nel suo testo “Star bene a scuola” ci parla con entusiasmo dell’esperienza del circle time, ovviamente nella scuola di primo ingresso, scuola materna e scuola elementare al massimo. Ecco perché lei ha usato il termine in senso diverso dal mio, perché in effetti la Professoressa Francescato parla di contenimento, non parla di controllo. La differenza è notevole, in quanto il contenimento è da intendere come una forma di maternage. Vale a dire i ragazzi si dispongono in cerchio, ciascuno parla del proprio vissuto, impara a distinguere, a pensare, a sentire, impara però anche a dichiarare il proprio pensiero ed ad esprimere i propri sentimenti, le proprie emozioni, con la convinzione però che c’è un adulto, il conduttore del gruppo, l’insegnante che fa comunque da mitigatore. Quindi c’è una forma quasi di gruppo vagamente terapeutico, nel quale si respira il piacere dello stare insieme ed il piacere di essere liberi in questo stare insieme, però nella sicurezza che c’è un adulto che ci aiuta e che comunque saprà evitare momenti di conflitto particolari, pericolosi.
Quindi più che un controllo dell’ansia c’è la fiducia in una situazione nella quale c’è la rassicurazione dell’adulto. Invece il controllo dell’ansia è qualcosa che il bambino impara a fare su se stesso nel momento in cui deve, per esempio, percorrere quel corridoio buoi quella sera, che lui vive con particolare perturbazione perché magari gli sembra di vedere una faccina che si profila così che lo guarda magari con gli occhi un po’ brillanti. E allora con l’adulto insieme, prima fa un esame di realtà del corridoio e poi a poco a poco impara, sulla base dell’esame di realtà, a rifare quel percorso da solo. Nonostante la paura e, nonostante l’ansia a seconda delle circostanze, il bambino impara a controllarsi e ad agire ugualmente.
A scuola serve sia l’uno che l’altro. Il contenimento non è però la forza dell’Io, il contenimento è un’esperienza assicurativa molto utile. Invece il controllo è una funzione dell’Io vera e propria.
Il bambino deve imparare che la paura non è una cosa da eliminare, l’ansia ugualmente non è una cosa da eliminare, sono cose con le quali convivere.
Non c’è espressione più lontana della verità, della realtà di dire “Non devi aver paura”. Chi è che non ha paura?Non ha paura il coatto, ma il coatto inteso come piccolo delinquentello di vita di strada, però poi l’ha la paura, solo che ha imparato a non dovere mai sentire la paura, per forza però dentro l’ha, e come se l’ha.
Se vi ricordate quel film “Mary per sempre” sul carcere palermitano, quando quel ragazzo che è un po’ il protagonista, quando alla fine ha recuperato il senso dei sentimenti umani che trema di paura di fronte all’eventualità di morire, è lì che ha ritrovato se stesso perché h ritrovato anche la propria paura, la propria paura, la propria paura non solo di morire ma anche di perdere gli affetti, di perdere le amicizie, di perdere le persone care.
Quindi fino a che abbiamo paura è buon segno, finchè viviamo l’ansia del vivere è buon segno. L’importante è che impariamo a coesistere, a convivere con queste cose perché sono normali, sono la nostra forza anche, se la trattiamo con amicizia. Se invece le trattiamo come nemici, allora diventano veramente cattive, nel senso che insorgono contro di noi proprio perché noi non le vogliamo eliminare.
Il secondo punto, c’è anche qui un fraintendimento. Il Super Io non è che si deve sviluppare, il Super Io è già sviluppato per conto suo, in genere il Super Io è già in troppo sviluppato, soprattutto in chi pensa di non averlo. Perché il Super Io fa parte della dimensione inconscia della nostra personalità, il Super Io non è cosciente.
Quello cui la collega si riferisce attraverso i processi di identificazione non è il Super Io, ma è l’ideale dell’Io o meglio l’io morale, è un’altra cosa. È parte dell’Io stesso ed è del tutto cosciente. È l’organizzazione morale della coscienza.
Che differenza c’è? Che la nostra moralità è qualcosa di più ragionevole, la moralità è qualcosa con cui uno riesce a ragionare.
Adesso per esempio, dato che siamo in Quaresima si può accennare qualcosa di evangelico. Il sabato nella religione ebraica non si dovrebbe lavorare, ma se cade l’asino nel pozzo, guai se chi si è identificato con la religione ebraica dice “Aspetto domani per tirare su l’asino” ma la morale siccome è ragionevole e dice “Va bene, ma se aspetto quello muore, allora faccio finta che domani è sabato, oggi tiro su l’asino e domani mi risposo”.
Questa è la morale, che non è mai rigida, è sempre sottoponibile alla ragione, perché insieme con la ragione si forma. Vale a dire la morale ed il ragionamento sul bene e sul male, che sono sempre molto più collegati di quanto non sembri. Per cui una persona che ha una coscienza morale non sarà mai moralista perché sarà abituata a ragionare sul bene e sul male.
Allora la differenza tra l’ideale dell’Io, in senso morale della coscienza, e del Super Io è che invece di ragionevole ha ben poco. Il super Io è quella cosa che ci fa dire “Devi fare così, e zitto e basta”. Non si ragiona, anzi, se ci ragioni, già è peccato perché ragioni. Vale a dire il dogma inteso come indirizzo morale, rigido e indiscutibile, a prescindere dai fatti.
È Abramo che porta Isacco sulla montagna e sta per accoltellarlo per ubbidienza. C’è un valore, intendiamoci, non è un disvalore, ma è un valore di uno che sta un po’ rigidino, cioè che riesce a pensare solo in termini cristallizzati. Insomma questo figlio non conta niente contro l’obbedienza. Ora invece è vero che conta l’obbedienza, ma l’obbedienza poi magari vissuta un pochino in modo più ampio. Infatti gli studi teologici ci insegnano che l’obbedienza è anche ascolto diffuso delle altre circostanze del bene e del male.
Il Super Io non ha bisogno di evolversi perché in quanto tale è già molto evoluto. Non esiste il problema della mancanza del Super Io: il problema esiste solo come eccesso di Super Io, perché semmai quello che esiste veramente come mancanza non è il Super Io selvaggio che abbiamo dentro, perché quello è sempre in abbondanza. Ma sono le regole sociali, che fanno da Super Io scoiale, quelle sì che a volte sono carenti e allora ci sono certe persone che più facilmente cadono nelle trasgressioni, a volte anche gravi, perché avvertono che stiamo in una società in cui esistono pene enormi ma scarse probabilità di essere puniti. Se invece vivessimo in una società in cui esistono pene meno enormi, molto piccole, ma pressoché certi di essere puniti, probabilmente la gente avrebbe un maggior Super Io sociale e probabilmente trasgredirebbe meno. Perché anche 4 anni di galera fatti tutti e non son che pratica avete del carcere, però vi prego di credere che sono tantissimi. Guardate che l’esperienza del carcere, non necessariamente quella del carcerato, io personalmente ho soltanto fatto dei periodi di tirocinio a Casal del Marmi, ad esempio, ma vi posso garantire che porto un’esperienza di carcere notevole pur senza essere carcerato. Perché non è che si sta in carcere come si sta in giro per il mondo. Ed allora il discorso di dire il deterrente di 30 anni in galera, che forse non è nemmeno così oggi, sono ancora meno. Uno per esempio il fatto di farne soltanto 15-10, però quasi certamente, perché esiste un sistema di vigilanza ed intelligence un po’ più attrezzato, questo sì: perché ciò crea un discorso non solo di Super Io psicologico, perché qui la psicologia dovrebbe essere un po’, lo dico io che sono psicologo, dovrebbe essere messa in secondo piano. Dovrebbe essere messa in primo piano la sociologia in questa situazione e capire che la concezione delle regole, e questo vale pure per voi a scuola, cioè delle sanzioni disciplinari, è sacrosanto che ci siano.
Guai, ma anche in famiglia, dovunque, se non sono delle regole e delle relative sanzioni, non si capisce bene com’è organizzato un gruppo. L’importante è che queste sanzioni siano applicate, sempre e comunque, ma che non siano tragiche né particolarmente umilianti. Devono essere sanzioni e basta, che non rovinano definitivamente la dignità della persona, ma che in ogni modo però costringono a pensare che forse se non avesse fatto quella cosa sarebbe meglio.
Questo è tutto un altro discorso che ci porta lontano dalla programmazione, però come discorso contestuale abituiamoci a capire che il Super Io individuale, quello che ciascuno di noi si porta dentro, è qualcosa di sostanzialmente selvaggio, è un sistema di divieti e di obblighi assolutamente incontestabili, per cui se poi uno non li mette in pratica si sente in pericolo, come tutte le cose selvatiche. E quindi dovremmo imparare anche a saper riconoscere quando qualcosa ci viene suggerita dal Super Io. E se ci viene suggerita dal Super Io non è detto che debba essere ascoltata per forza, perché il Super Io ti dice pure delle grandi stupidaggini. Ti dice che vengono dall’antico ma che non sono necessariamente ragionevoli. Invece l’ideale dell’Io ci dice cose ragionevoli perché infatti noi le possiamo ragionare, le possiamo discutere con noi stessi, con gli altri e trovare delle forme morali volta per volta più adatte.