“Identità professionale dell’insegnante e l’articolazione delle funzioni docenti nell’ambito dell’autonomia”
LEZIONE I : Il fare lezione
Fare lezione è la funzione che rappresenta la continuità dell’insegnamento. Ci sono molti insegnati che sono convinti che fare lezione è la vera essenza dell’essere insegnante. Non è così, però lo pensano e pensano magari che veri insegnanti sono coloro che fanno lezione. Questo appartiene già ad un modo di intendere del fare lezione, appartiene già quindi ad una visione, a una concezione del fare lezione che ha avuto in certi momenti storici della nostra cultura nazionale dei momenti fulgidi ed altri meno fulgidi. Questo ragionamento è valido per tutte le fasce d’età.
Pensavo in questo momento alla lezione universitaria nella struttura accademica. È molto complessa come analogia, nel senso che nella struttura accademica alcune di queste distinzioni sono state addirittura anticipate rispetto alla scuola normale, dalla materna alla superiore. Esempio:gli assistenti universitari, lo dico in termini tradizionali, perché oggi non si sa più chi è l’assistente e tra il dottore (cioè lo studioso), c’è il dottorato (però sta già lì) e c’è il ricercatore scientifico e c’è il tutor che sta venendo fuori. Quindi queste sono figure complementari a quelle dell’insegnate ordinario. Solo che certo, quello che devo consentire di dire, è che nelle università c’è una graduatoria, altro che se c’è, nel senso se non altro che lo stipendio dell’ordinario, quello che fa solo lezione, è enormemente superiore a quello degli altri, c’è anche chi non prende molto. Però, se ci si pensa un attimo, i test d’ingresso dell’università si stanno perfezionando sempre di più, ci lavorano dei professori più che altro per quello. Alla facoltà di psicologia ci sono dei professori che spendono il loro tempo solo sui test d’ingresso che stanno diventando sempre più sofisticati e sempre più validi. E come la chiamate questa se non fase di osservazione?
Magari accoppiata con quella del tutor che nel caso ad esempio dei disabili deve andare a vedere quali sono le particolari esigenze del disabile che frequenta l’università ed è comunque una funzione di supporto, quantomeno sta a metà strada tra l’osservazione e la riattivazione della disposizione ad apprendere. Perché un ragazzo un po’ sprovveduto che va all’università si perde come in un labirinto. È un labirinto nel senso che tra gli aspetti burocratici, tra il fatto di ricevere una serie di sollecitazioni nelle quali è chiamato solo lui ad orientarsi senza una guida. Molti ragazzi quando vanno all’università avrebbero l’esigenza di continuare un po’ questo senso della lezione, della classe, dell’aula quasi come lo avevano alle superiori: e questo cambiamento lo vivono in modo eccessivamente brusco e non riescono ad orientarsi. Tant’è vero che in alcuni college, per esempio della cultura anglofona, c’è questa ripresa quasi totale della classe universitaria, della classe perché hanno visto che c’è bisogno ancora a quella età di uno spirito di corpi, almeno un minimo, ma ancora ce n’è bisogno. Pensate a quello che fa il seminario, la funzione dei seminari è quella di fare caprie ai ragazzi quello che vuole il professore. Perché il professore è una sorta di Maometto con cui non si ha tempo di parlarci perché quello scappa sempre, allora se non ci fosse quella figura che tu trovi spesso che ti parla del programma del professore e ne cura alcuni aspetti… quindi da questo punto di vista la struttura universitaria percorre quello che sto dicendo, certamente nel modo in cui storicamente è, quello che non è certo assolutamente previsto dall’università è il contenimento, il contenimento inteso in senso stretto. Se ad uno gli prende la crisi d’ansia, se ne va a casa. Non credete, questo può succedere anche nelle scuole inferiori, perché una crisi d’ansia, magari con somatizzazione, sto vedendo che il più delle volte gli insegnanti chiamano, non dico che sbagliano, lo dico come dato di fatto, chiamano il 118. Perché non sanno che fare.
Del resto, se ci pensate, una crisi epilettica può succedere no? Voglio dire di epilettici in Italia ce ne sono parecchi di pregiudizi sull’epilessia e meno male che uno non l’ha scritto in faccia che è epilettico. Per fortuna perché i pregiudizi verso le persone con epilessia sono enormi e sconvolgenti perché si pensano delle cose sugli epilettici che sono assolutamente false soprattutto su due ordini: intanto non è assolutamente vero che una persona epilettica ha bisogno di stare riparata. Il secondo, che è anche più grave, è che gli epilettici sono anche un po’ degli insufficienti mentali. Penso che direbbe Dostojevskij, che era epilettico, ed anche in forma grave, perché se avete letto anche uno solo dei suoi libri vi passa subito l’idea di pensare che era un insufficiente mentale.
Basterebbero questi due, eppure ancora non si è organizzata nella scuola, non c’è un modo normale di sostenere una crisi epilettica, tant’è vero che, se accade che un bambino ha una crisi, la prassi qual è? Quella di chiamare il pronto soccorso, con la piccola circostanza che la crisi epilettica può durare la massimo tre minuti, se è lunghissima, e quindi praticamente è più che certo che quando arriverà il pronto soccorso la crisi è finita. E quindi di fatto non ce n’è bisogno.
Quindi che ci sia qualcuno che possa e sappia fare qualcosa quando un bambino va in crisi epilettica diventa un fatto di eccezionale importanza perché la riattivazione della disposizione ad apprendere significa anche questo.
Non tutti in Italia accettano di svolgere questa funzione, quando poi i bambini hanno queste crisi tre, quattro volte al giorno il fatto si complica parecchio.
Andiamo oltre, questo per farvi capire che quando parlo del contenimento e della riattivazione della disposizione ad apprendere non parlo di un atteggiamento soltanto legato ad uno stato d’animo, ma parlo di una serie finita di situazioni nelle quali comunque la scuola ha il dovere e il diritto di svolgere una funzione immediata di intervento, altrimenti poi come possiamo parlare di accoglienza se ci troviamo in un posto dove se succede qualcosa di brutto non si sa nemmeno chi ci deve dare una mano e magari mentre l’alunno sta male gli altri discutono su chi è che si muove perché non c’è una prassi in questo senso.
Per adesso ciò, come diceva la collega più che giustamente, è stato lasciato, come tante altre, alla buona volontà e all’iniziativa dei singoli, che a volte è risolutiva quando ci sono, ma quando non ci sono non è risolutiva perché quando non ci sono vanno cercati.
Però vi dirò di più, quando la cosa è fatta semplicemente sull’ordine della buona volontà e dell’iniziativa personale, comunque si creano altre problematiche. Non si creano subito, ma alla lunga perché ci sono delle differenze che si organizzano e che poi non vengono riconosciute e con il tempo si attivano tra le persone delle conflittualità non sempre facili da ricomporre. Perché poi uno vorrebbe essere riconosciuto in quello che ha fatto, l’altro lo fa per le sue ragioni, che magari sono anche più complesse, e per altri versi le cose si complicano.